Nella giornata del 4 settembre la Corte di Giustizia dell’UE ha emesso la sentenza sulla legittimità dei costi minimi di sicurezza dell’autotrasporto italiano; si ricorda che tutto sorge dal ricorso che alcune associazioni della committenza presentarono al TAR del Lazio che, dopo alcuni pronunciamenti alquanto interlocutori, si dichiarò non competente demandando la decisione alla Corte di Giustizia dell’UE.
Nello specifico, i quesiti pregiudiziali proposti alla Corte dal TAR del Lazio sono:
- se la tutela della libertà di concorrenza, della libera circolazione delle imprese, della libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi (di cui agli artt. 4 (3) TUE, 101 TFUE, 49, 56 e 96 TFUE) sia compatibile, ed in che misura, con disposizioni nazionali degli Stati membri dell’Unione prescrittive di costi minimi di esercizio nel settore dell’autotrasporto, implicanti fissazione eteronoma di un elemento costitutivo del corrispettivo del servizio e, quindi, del prezzo contrattuale;
- se, ed a quali condizioni, limitazioni dei principi citati siano giustificabili in relazione ad esigenze di salvaguardia dell’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione stradale e se, in detta prospettiva funzionale, possa trovare collocazione la fissazione di costi minimi di esercizio secondo quanto previsto dalla disciplina di cui all’art. 83 bis del d.l. n. 112/2008 e successive modificazioni ed integrazioni;
- se la determinazione dei costi minimi di esercizio, nell’ottica menzionata, possa poi essere rimessa ad accordi volontari delle categorie di operatori interessate e, in subordine, ad organismi la cui composizione è caratterizzata da una forte presenza di soggetti rappresentativi degli operatori economici privati di settore, in assenza di criteri predeterminati a livello legislativo.
La Corte delibera:
La normativa italiana relativa al trasporto di merci su strada prevede che il corrispettivo dovuto dal committente non possa essere inferiore ai costi minimi d’esercizio, i quali includono, da un lato, il costo medio del carburante per chilometro di percorrenza e, dall’altro, i costi d’esercizio dell’impresa di trasporto. I costi minimi sono determinati mediante accordi di settore conclusi tra le associazioni di vettori e le associazioni di committenti di servizi di trasporto. All’epoca dei fatti, l’Osservatorio sulle attività di autotrasporto (organo composto da rappresentanti dello Stato, di associazioni di vettori e di associazioni di committenti) era incaricato di fissare i costi minimi qualora non fosse stato stipulato nessun accordo. Nel 2011 l’Osservatorio ha adottato tutta una serie di tabelle al fine di fissare i costi minimi. L’Anonima Petroli Italiana, società petrolifera italiana, ha chiesto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio l’annullamento degli atti dell’Osservatorio concernenti i costi minimi. Tale giudice chiede alla Corte di giustizia se la normativa italiana sia compatibile con i principi di libera concorrenza, di libera circolazione delle imprese, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Con l’odierna sentenza la Corte ricorda, in primo luogo, che, nonostante le norme del TFUE sugli accordi vietati tra imprese non siano vincolanti per gli Stati membri, questi ultimi sono nondimeno sottoposti al dovere di collaborazione con l’Unione, così che non possono adottare provvedimenti idonei a eliminare l’effetto utile di tali norme. Queste risultano quindi violate qualora uno Stato membro imponga o agevoli la conclusione di intese vietate, rafforzi gli effetti di tali intese oppure ancora revochi alla propria normativa il suo carattere pubblico delegando ad operatori privati la responsabilità di adottare decisioni di intervento in materia economica. In secondo luogo, per quanto riguarda la normativa controversa nel procedimento principale, la Corte constata che l’Osservatorio, composto maggioritariamente da rappresentanti di associazioni di categoria e abilitato ad agire nell’interesse esclusivo della categoria, dev’essere considerato un’associazione d’imprese direttamente soggetta alle regole di concorrenza. Di conseguenza, la fissazione dei costi minimi d’esercizio impedisce alle imprese di fissare tariffe inferiori a tali costi. Pertanto, limitando la libertà degli attori del mercato di determinare il prezzo dei servizi di trasporto di merci su strada, la normativa italiana è idonea a restringere il gioco della concorrenza nel mercato interno. In terzo luogo, la Corte rileva che la determinazione dei costi minimi non è idonea, né direttamente né indirettamente, a garantire il conseguimento dell’obiettivo legittimo fatto valere dall’Italia per giustificare la restrizione della concorrenza (vale a dire la tutela della sicurezza stradale). Infatti, la normativa nazionale si limita a prendere in considerazione la sicurezza stradale in maniera generica, senza stabilire alcun nesso tra essa e i costi minimi. Inoltre, il provvedimento contestato va oltre quanto necessario per il rafforzamento della sicurezza stradale. Date tali circostanze, la Corte dichiara che la normativa italiana non è compatibile con il diritto dell’Unione.
Testo: http://curia.europa.eu/jcms/jcms/P_137308/